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datacenter, dove conviene? Ecco i Paesi migliori

IntroL’edizione 2013 del datacenter Risk Index: negli Usa i rischi minori, ma è l’Europa del Nord la regione più virtuosa. E l’Italia? Non pervenuto. E’ di questi giorni la notizia che Microsoft ha in programma di aprire un nuovo datacenter nell’Iowa. L’investimento è pari a circa 670 milioni di dollari, per supportare “la crescente domanda per servizi cloud”. Tutti i maggiori player del mercato, da quelli più tradizionali (Apple, Hp, Ibm, Microsoft, Oracle, Sap) a quelli di storia più recente (Amazon e Google, sopra tutti) sono da tempo impegnati nella realizzazione di mega infrastrutture di datacenter per soddisfare una domanda crescente di servizi alimentata da trend come quello verso i Big Data e dalle scelte sempre più motivate del mercato business e di quello consumer verso il cloud computing. Le dimensioni degli investimenti sui datacenter cominciano a diventare imponenti e proprio per questo molti stati nazionali cominciano a considerare l’eventualità di ospitare i siti dei grandi player come una nuova opportunità e ad attrezzarsi di conseguenza. Ma le scelte dei provider e dei grandi vendor IT non sono certo effettuate a cuor leggero. Al contrario, viste le consistenti dimensioni degli investimenti richiesti, sono molteplici i fattori di rischio presi in considerazione nei diversi Paesi: fattori di tipo geo-politico, economico e sociale. Insomma, sarà anche vero che viviamo in un mondo globale, ma ogni Paese fa ancora storia a sé e presenta un “profilo di rischio” molto specifico, che viene considerato molto attentamente. Un importante supporto a queste valutazioni viene da analisi come quella presentata a metà giugno. Si tratta dell’edizione 2013 del datacenter Risk Index (DCRI 2013). Il report è stato curato da un team di analisti di tre società di consulenza – Source8, Hurleypalmerflatt e Cushman & Wakefield – rispettivamente attive nel campo delle infrastrutture IT, della consulenza e del mercato del real estate. Il DCRI 2013 analizza e valuta i fattori di maggiore o minor rischio che possono minacciare l’operatività di un datacenter in 30 dei principali Paesi al mondo, tra i quali non figura l’Italia. Tra i fattori considerati, analizzati e “pesati” per ogni Paese troviamo item come il possibile verificarsi di disastri naturali, l’instabilità economica e politica, politiche fiscali o altre agevolazioni che possano favorire investimenti e iniziative imprenditoriali, i costi dell’energia e del lavoro, la presenza di risorse idriche, la diffusione e il livello qualitativo delle reti di comunicazione e della banda larga e così via. Il prodotto finale di queste valutazioni è una classifica sull’attrattività dei singoli Paesi basata sulla somma dei punteggi attribuiti a ciascuno degli item considerati.

La classifica e i fattori di valutazione

Partiamo dalla classifica finale del DCRI 2013. Nel ruolo di Paese che presenta una situazione di minor rischio per l’apertura di un datacenter si confermano gli Stati Uniti. Determinanti per questo piazzamento sono risultati l’ampiezza di banda, l’alto livello medio socio-culturale, il costo dell’energia e le condizioni favorevoli alle attività imprenditoriali. Dietro gli Usa, nel ranking dei primi 10 Paesi, si sono classificati Regno Unito (anche questa è una riconferma), Svezia (che lo scorso anno era all’ottavo posto), Germania, Canada, Hong Kong, Islanda, Norvegia, Finlandia, Qatar e Svizzera. A livello di macro regioni l’Europa, con sette paesi presenti nella classifica dei primi dieci (e sono ben 13 i paesi europei presenti tra i 30 della classifica), appare quella che offre le condizioni di minor rischio per investire in nuovi datacenter. Sembra particolarmente interessante soffermarsi brevemente sulla metodologia utilizzata e soprattutto sulle categorie di valutazione considerate e sul peso relativo attribuito ai singoli item. Tre sono le categorie di valutazione prese in considerazione. Nella prima categoria – che pesa per il 60% sul punteggio complessivo – sono stati considerati, e pesati nel loro valore relativo (lo trovate di seguito, tra parentesi) item come il costo per KwH dell’energia (33%), le condizioni di maggior o minor favore per le attività imprenditoriali (33%) e l’ampiezza di banda misurata in Mbps (33%). Nella seconda categoria di valutazione (che pesa per il 35% sul punteggio finale) gli item presenti sono quelli riguardanti il livello di tassazione sulle imprese (12%) il costo orario del lavoro (8%) il livello di stabilità politica (20%), quello di sostenibilità ambientale (10%) misurato sulla base della percentuale di ricorso a fonti di energia alternative, le possibilità di disastrosi eventi naturali (25%), il livello culturale medio della popolazione locale (10%) e le condizioni di sicurezza energetica (15%). L’ultima categoria di valutazione (che pesa per il solo 5% sul punteggio complessivo) comprende infine il tasso di inflazione (25%), il valore del PIL per abitante (25%) e la disponibilità di risorse idriche per abitante (50%).
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