Google, Microsoft e Apple. Ma anche aziende di casa nostra come Swisscom, Sunrise, Green e Cablecom. Nel breve volgere di un anno (ne avevamo già parlato in questa puntata di Refresh) la Svizzera ha (ri)scoperto il cloud computing, con soluzioni sempre più orientate alle imprese. Nel frattempo smartphone e tablet hanno completato la rete di dispositivi attraverso i quali approfittare dei vantaggi offerti dalla nuvola. Dati disponibili ovunque e in qualsiasi momento, ma al prezzo di affidarne la sicurezza ad aziende esterne e vedere i propri documenti conservati all’estero.
C’era un tempo in cui si girava con le chiavette Usb in tasca, unico modo per direttori d’azienda, segretarie, studenti o semplici sognatori di disporre, in qualunque luogo e davanti a qualunque schermo, dei propri file: modelli di lettere, documenti importanti o testi da completare. Magari un libro o un racconto scritto a quattro mani o magari solo le foto delle vacanze con cui allietare (?) le serate tra amici. Un walzer di dati tutti in saccoccia, da modificare lontani da casa, da trasportare dal computer di domicilio a quello delle vacanze (e ritorno), da passare ad altri perché vi apportino le proprie modifiche. E poi, alla fine, inevitabilmente non ricordarsi quale delle versioni è quella corretta, doverle aprire tutte una a fianco all’altra e, in una enigmistica tecnologica, darsi al gioco delle differenze.
Erano i tempi dei numeri salvati sulle carte Sim del cellulare, perché a metterli sul telefono poi sennò, quando si cambia apparecchio, bisogna trasferirli tutti. Erano i momenti in cui i più ferrati si costruivano il proprio server a casa per avere sempre accesso al contenuto del proprio disco rigido.
Oggi, nel tempo delle nuvole, le chiavette sono rimaste a casa, delle carte Sim quasi più nessuno si ricorda e solo gli appassionati si costruiscono ancora il proprio server casalingo. Oggi, volendo, i propri dati sono accessibili da qualunque punto del globo con un nome utente e una password. Il resto è tutto gestito da altri: Google, Apple, Microsoft, Ubuntu, tanto per citarne alcuni. Ognuno con una propria filosofia, ma tutti basandosi sullo stesso principio: permettere di salvare i propri documenti in rete, su un server sempre collegato.
Tra i primi servizi di cloud computing (questo il nome del tipo di offerta) vi è Gmail, il servizio di posta elettronica targato Google che a fine 2004, con il motto “non dovrete cancellare nessun messaggio”, ha iniziato a mettere a disposizione un gigabyte di spazio per conservare le proprie e-mail. Una rivoluzione nell’era in cui la posta elettronica veniva scaricata dai server sul computer di casa (o del lavoro) e lì rimaneva, consultabile in un solo punto del globo. Gmail ha sovvertito il panorama, garantendo la lettura dei messaggi online. Oggi ognuno dei 349 milioni di utenti di Gmail ha a disposizione più di 10 gigabyte ciascuno e nessuno – davvero nessuno – ha più cancellato un solo messaggio importante. Il modello è stato seguito a ruota dai concorrenti, con Yahoo! e Microsoft Hotmail in testa, diventando di fatto lo standard attuale.
Quattro anni più tardi, quando – sull’onda del nuovo paradigma – le maggiori compagnie si erano già attrezzate costruendo decine di datacenter in America, Europa e Asia per ospitare supercomputer e dischi rigidi combinati da centinaia di petabyte (milioni di miliardi di byte), il terreno era pronto per sviluppare nuovi servizi, con l’arrivo del concetto di disco di rete. Nel 2008 aprì Dropbox, servizio che oggi permette di sincronizzare gratuitamente e automaticamente fino a 2 gigabyte di dati tra più computer. Ciò significa che le modifiche apportate a un file su un portatile collegato a Dropbox verranno automaticamente caricate online e distribuite quasi istantaneamente a tutte le altre periferiche appartenenti alla stessa persona. Non solo: il sistema può essere istruito anche per consentire a più utenti di vedere e lavorare sugli stessi documenti.
Il concetto di disco condiviso in rete si è dimostrato tanto flessibile da permettere lo sviluppo di decine di servizi che vi si appoggiano. Fra questi vi sono i calendari e le rubriche telefoniche condivise. Il recente avvento degli smartphone e dei tablet ha completato il quadro, liberando virtualmente le informazioni da qualsiasi vincolo di spazio: oggi con un telefono Android, con un iPhone o con un cellulare Window Phone 7 è possibile annotarsi un appuntamento in agenda, scattare una foto e modificare un numero di telefono direttamente dal cellulare avendo però la certezza di ritrovare quanto fatto anche sul Pc di casa, sul portatile del lavoro e sul tablet.
Nel frattempo intere applicazioni si sono trasferite sulla nuvola. Già oggi, volendo, si potrebbe evitare di installare il pacchetto Office sul proprio computer, dal momento che basta accedere al sito della Microsoft o a quello di Google per vedere comparire un foglio di calcolo o un sistema di composizione perfettamente funzionante all’interno del proprio browser. E l’evoluzione non si ferma qui: anche applicazioni più di nicchia, come quelle prodotte da Adobe, sono disponibili in versione Cloud.
Applicando le capacità della nuvola anche alle impostazioni, molti programmi per navigare in internet permettono oggi di sincronizzare i preferiti istantaneamente tra più macchine. E poi, come proposto sia da Mozilla Firefox sia da Google con l’ultima versione di Chrome, è pure possibile richiamare dal proprio telefono le pagine visitate dal computer fisso.
Documenti, messaggi e impostazioni personali accessibili ovunque e comunque attraverso una sola password. Ma nascosti nella nuvola ci sono anche i rischi. Tali e, virtualmente, tanti da far saltare sulle sedie gli incaricati della protezione della privacy di mezzo mondo, Svizzera inclusa. Già perché il principale problema insito nel salvare i propri documenti su server di qualcun altro è che si perde la possibilità di controllarne l’uso. Li si espone inoltre a un rischio maggiore di attacco da parte degli hacker e, dulcis in fundo, li si consegna spesso ad altre giurisdizioni legali, dal momento che molti datacenter si trovano all’estero.
Questioni serie e per questo spesso affrontate con altrettanta serietà dalle aziende che offrono soluzioni cloud. Perché se il rischio di furto è virtualmente accresciuto, è pur vero che le grosse ditte blindano meglio le proprie infrastrutture contro utilizzi illeciti. E lo fanno ancora di più proprio perché i pericoli sono accresciuti.
Detto questo, forse ognuno di noi potrebbe fare una riflessione in più prima di salvare i numeri di telefono riservati su un server che si trova dall’altra parte del mondo.
Cosa succede se una ditta svizzera decide di andare sulle nuvole? Principalmente, dirà chi è attento alle questioni di economia aziendale, risparmia. Vero, in genere è così. C’è però anche un secondo aspetto: i dati interni dell’azienda – in una certa misura – vengono trasferiti sulla nuvola. Ciò significa che potrebbero essere copiati contemporaneamente su dischi rigidi ospitati in centri di elaborazione situati, in genere, al di fuori dei confini svizzeri ed europei. Detta altrimenti: i dati che vi riguardano possono finire da qualche parte nel mondo. Un grattacapo mica da ridere per gli esperti di privacy.
Non a caso Mister dati ha recentemente emanano una serie di direttive in cui si spiega alle aziende svizzere che, qualora dovessero decidere di fare outsourcing sulla nuvola, tocca a loro assicurarsi che le informazioni vengano trattate conformemente alla legge elvetica.
“Spesso nei Paesi nei quali sono localizzati i cloud vigono disposizioni in materia di protezione dei dati più blande di quelle svizzere: vi è pertanto il rischio che i dati siano trattati in un modo che non sarebbe autorizzato in Svizzera” scrive l’incaricato federale per la protezione della privacy.
Le cose si complicano anche di più se si considera che, per questioni di ridondanza, spesso i dati vengono custoditi simultaneamente in più luoghi, non necessariamente situati uno accanto all’altro nello stesso Paese. Ecco perché l’incaricato federale della protezione della privacy specifica: “Più i dati sono confidenziali, segreti, importanti (poiché rilevanti per l’attività dell’impresa) o sensibili (poiché degni di protezione), più è opportuno rinunciare allo stoccaggio dei dati in cloud, soprattutto se ubicati all’estero”.
È pur vero che, per ora, il problema alle nostre latitudini sembra essere contenuto e che molte ditte, anche estere, potrebbero investire in datacenter in Svizzera, quindi ‘a norma’. Alla fine potrebbe anche accadere che sia proprio il nostro Paese a ospitare i dati di mezzo mondo piuttosto che l’inverso.
Il cloud, ovvero la nuvola, non è nient’altro che internet. Si allude al fatto che i dati che vi si salvano si trovano “da qualche parte” nella rete e, quindi, accessibili anche senza sapere dove sono conservati. Insomma: a richiesta riemergono automaticamente dalla nebbia. Pardon, dalla nuvola.
In generale si distingue tra due tipi di cloud computing: quello privato e quello pubblico. Il primo è un’infrastruttura informatica dedicata in gran parte alle esigenze di un singolo utente, in genere una grande azienda. In questo modo il proprietario dei dati ha pieno controllo sui documenti, dal momento che controlla fisicamente le macchine.
La nuvola pubblica è invece un’infrastruttura di proprietà di terzi, che mettono a disposizione (a pagamento o gratuitamente) un servizio a più utenti. Si va dalla semplice conservazione di dati all’erogazione di servizi e applicazioni via web, alla fornitura di potenza di calcolo. Il fornitore di servizi sfrutta le economie di scala che si creano gestendo in parallelo più utenti. Ciò significa che su un suo server sono presenti più documenti di più persone in contemporanea. Per garantire sufficiente potenza e sufficiente spazio d’immagazzinamento, le compagnie che offrono public cloud (per esempio Google, Amazon, Apple) hanno costruito nel tempo enormi capannoni popolati solo da computer, i cosiddetti datacenter. La sicurezza è garantita attraverso potenti filtri e registrando uno stesso dato in più datacenter. Quando un utente richiede l’accesso a un proprio dato, questo viene automaticamente fornito da uno di questi. La nuvola decide quale.